Mi hai reso bambino. Invano mi ha cresciuto
il tormento di trenta inverni stridenti.
Non riesco a camminare e a stare seduto.
I miei arti mi trascinano, mi spingono da te.
Ti tengo in bocca, come il cane il suo cucciolo,
e scapperei per non essere soffocato.
Ogni momento riversa su di me
gli anni che hanno spezzato il mio destino.
Nutrimi, guarda - ho fame. Coprimi - ho freddo.
Sono stupido - occupati di me.
La tua mancanza mi attraversa, come la corrente la casa.
Di’ alla paura di allontanarsi da me.
Mi hai guardato e ho perso la presa su tutto.
Mi hai ascoltato e sono rimasto senza parole.
Fa’ in modo che io non sia così inesorabile;
perché io possa vivere, morire da solo!
Mia madre mi ha buttato fuori casa - mi sdraiavo sulla soglia -
volevo rannicchiarmi in me stesso, non si può -
sotto di me pietra, sopra di me il vuoto.
Oh, quanto vorrei dormire! Busso da te.
Sono in tanti ad essere insensibili come me,
eppure i loro occhi sono pieni di lacrime.
Ti amo tanto, giacché
con te ho imparato ad amare anche me stesso.
maggio 1936
Nella foto dell'anteprima, Edit Gyömrői, a cui è indirizzata la poesia.
Irisz Maar © ottobre 2025
Revisione e correzione: Anna Cavallini