Croce e delizia. Quando ho aperto questo libro casualmente, sono state le prime parole che ho letto, e queste due parole mi riportano sempre e subito a una delle mie arie preferite, "Un dì felice, eterea", della mia opera lirica preferita, La Traviata di Giuseppe Verdi. Un'ulteriore coincidenza è stata che più o meno mezz'ora prima, mentre sistemavo delle cose in negozio, canticchiavo quest'aria fra me e me. Quindi tutto questo mi ha incuriosito subito.
Si tratta di Crisalide, di Caterina Colonna.
Allora sono tornata all'inizio del libro, alla prefazione. Fra le righe della prefazione, risaltano subito i versi della poesia che si potrebbe considerare quella che determina la direzione e l'evoluzione della raccolta, e le fornisce le basi: non solo della raccolta, ma della poetessa stessa.
Quando l'ho letta sono rimasta fulminata. Mi sono chiesta più e più volte se l'avessi capita bene, perché non volevo crederci. E mi venivano i brividi, e volevano uscire delle lacrime dai miei occhi. Dovevo allora indagare cosa fosse successo per davvero, quindi ho cercato la poesia intera nella raccolta. Ma non ho ottenuto una conferma decisiva. Cercavo disperatamente di tornare al titolo, provando a ricavare da lì delle spiegazioni, ma mi sono dovuta rassegnare, perché io non avevo accesso al significato del titolo.
In Ungheria non è di norma studiare il latino e il greco antico a scuola, di solito lo fanno le persone che scelgono questo indirizzo all'Università, oppure nel quadro di un'attività extracurricolare, e io ho studiato solo un po' il latino. Perciò non leggo la scrittura dell'antica Grecia, e non ne capisco le parole; non avrei potuto avere modo di decifrare il titolo direttamente, ma l'ho intuito lontanamente per via della somiglianza nella forma delle lettere greche e latine, ma anche perché la poesia si riferisce alla creatura riportata nel titolo, Μέδουσα.
E sì, sembra che io abbia capito bene.
Sono caduta così tanto sotto l'influenza di quello che ho letto, che ho cominciato a divorare le poesie, una dopo l'altra, ma in quel momento non avevo modo di leggerne tante, e dopotutto c'era questa cosa che mi turbava abbastanza: dovevo decifrare i titoli - soprattutto in greco e in latino - e le allusioni, perché altrimenti era come se mi fosse stato negato qualcosa, come se rimanessi in parte sempre esclusa, e come se non riuscissi a comprendere interamente quello che mi è stato comunicato. Appunto, come se non avessi accesso a qualcosa a cui vorrei avere accesso. Il testo era criptato. E ho sentito questa cosa proprio sulla mia pelle, mentre cercavo di comprendere i titoli in greco antico, senza aiuto però; conoscete di sicuro la sensazione di quando qualcosa vi stringe tantissimo da dentro, e non riuscite a essere tranquilli finché non ne venite a capo.
Allora lì per lì ho fatto una foto della poesia, e appena sono arrivata a casa mi sono messa a cercare le lettere greche, e a decifrare il titolo. Qualche giorno dopo ho comprato il libro, e ho tradotto tutti i titoli in greco.
Perché vi racconto tutto questo? Perché tutto ciò è frutto di un gesto intenzionale, ed è bello osservare che in me, per esempio, suscita tutto ciò, su di me ha questo effetto. E mi è venuta la voglia di imparare il greco. Che effetto potrebbe avere su di voi?
Le poesie mi hanno catturato perché, come ormai sapete, quello che apprezzo di più in letteratura è quando un autore riesce a immortalare un momento umano in cui riesco a riconoscere una mia verità, me stessa, o la verità di quello che ci circonda, e in questo modo riesce a dare una nuova voce a qualcosa che dobbiamo capire, a cui dovremmo avere accesso, ed ecco qui un paradosso. Un accesso sempre parzialmente negato a noi, eccetto se facciamo quello sforzo necessario in più a cui il testo, insieme alla poetessa, ci invita. Uno sforzo in più, perché anche se conosciamo il greco e il latino, o abbiamo ben presente la tradizione letteraria, dobbiamo comunque varcare una soglia. Su di me ha avuto questo effetto la poesia "Στοργή". Ve la riporto qua:
Στοργή
Mi sembrava che di silenzi
fossero fatte le nostre parole
ed era strano e bello aver certezza
che noi soltanto ci saremmo intesi
e che non solo di verbi comuni
fossero fatti i nostri detti.
Avrei potuto gridar più forte il mio amore o
chiederti d'aspettarmi in stazione o
d'indicarmi i pericoli del mare ma
mi sembrava che nel silenzio
riuscissimo ad intenderci molto
più che ad alta voce.
E scusami se non ti ho chiesto
di restare ma ora, se devi andar via,
lascia che io chiuda
gli occhi, poi vai.
I testi e il concetto della raccolta si snodano intrecciandosi con la mitologia greca e con la tradizione letteraria; infatti, i testi sono un incrocio fra una parlata moderna, la nostra quotidianità e un linguaggio classicizzante. E la mitologia greca non tradisce mai le nostre aspettative. Abbraccia quasi tutto – se non davvero tutto – quello che potrebbe succedere all'uomo, in relazione con gli altri, e in relazione con sé stesso e il suo subconscio. È universale, si potrebbe dire. E l'autrice l'accomuna con la propria esperienza, e anche noi possiamo riconoscerci nei versi. E in questo modo, il vissuto della poetessa e i testi accentuano ancor di più tutto ciò che collega l'umanità, come afferma anche lei.
Un esordio brillante, una voce forte, inequivocabile, con tanto carattere e tanta maturità artistica. Vi riporto altre due poesie:
Redde rationem
Tu eri l'unico
che mai ha dovuto
scender a patti
con le mie lontananze
e che negli angusti anfratti
delle mie prigioni riusciva
a scorgerne luce.
Scusami adesso se nuovo muro
s'erge sicuro tra queste sequoie e
nell'altalena di pregiudizi e parole
è labile il barlume che irrompe
dalle crepe.
Άϱιάδνη
Non è il tempo ad averti resa
melodia dolce delle mie giornate,
né gli orizzonti che han scaldato
la pelle brunita dal sole.
Tu hai portato in petto il mio cuore
come se da sempre ti appartenesse e
in quei momenti, sole e tempesta,
hai saputo dar ragione ai miei silenzi
traendo dalle mie lacrime colore vivace
per le tue orchidee.
La poetessa - nell'intervista organizzata dalla casa editrice Dantebus, che ha pubblicato Crisalide - afferma che il suo gesto poetico di codificare la maggior parte dei titoli delle poesie in realtà trae origine dai suoi stessi comportamenti: anche lei, in parte, si chiude sempre. E questo suo modo di agire trae origine a sua volta anche dall'esperienza ritratta nella poesia scelta dal redattore come emblema della raccolta, quella che mi ha travolto subito. Si chiude e scappa dall'amore, esattamente come fa Violetta nella Traviata. Ma, come afferma sempre l'autrice, l'amore ha il potere di guarire, liberare l'altro, portare la metamorfosi. Come possiamo sentire anche nell'aria che Alfredo canta a Violetta per convincerla ad avvicinarsi a lui e ad accettare il suo amore: "l'amor [...] è palpito dell'Universo intero." Infatti, la raccolta esplora anche il concetto, o meglio, i concetti dell'amore.
In questo comportamento in parte riesco a riconoscere me stessa, cioè la tendenza a criptare la via d'accesso a me, mentre, almeno io, rimango paradossalmente molto aperta. Come dice l’autrice, questa è una distanza, sì, ma anche un invito; io la definirei persino una prova.
La poetessa racconta che lei si sta liberando grazie all'amore e grazie alla parola. Nel greco per l'amore ci sono quattro termini, con quattro significati diversi - ἔρως, l'amore passionale, φιλία, amore fra amici, fratelli e compagni, ἀγάπη, amore spirituale, incondizionato, disinteressato e στοργή, amore familiare - e la poetessa li esplora. Come afferma, voler decifrare, scegliere di decifrare l'altro, anche se esso si nasconde, quello sforzo in più, è un atto di amore. Cosa la incatena? L'intervista - in cui Caterina Colonna, oltre a rispondere alle domande di Massimo Gherardini (il critico letterario, collaboratore della casa editrice, che ha interpretato il testo e scritto la prefazione), recita alcune delle poesie della raccolta - come appunto anche Μέδουσα, il simbolo del volume, quella il cui titolo ho cercato di decriptare con tutte le mie forze - potete guardarla cliccando qui. Nell'intervista, ma anche nella prefazione del libro, potete sentire degli argomenti toccati dal libro e che ho riportato a voi.
Massimo Gherardini paragona il lavoro psicologico che si compie nell'autrice durante la scrittura al kintsugi giapponese, "l'antica arte del restauro della ceramica che rimette insieme i cocci del vaso attraverso una colatura d'oro delle crepe, che divengono la parte più importante e luminosa". Infatti, la parola stessa “crisalide” deriva dal greco antico: χρυσαλλίς (khrusallís), composto da χρυσός (khrusós), “oro”, e -αλλίς (-allís), “piccola”, in riferimento al colore dorato di alcune crisalidi. In più, il suono della parola può farci pensare a “cristallo” e, infatti, nell’intervista la poetessa parla anche di come un’esperienza personale, e poi umana, prenda forma e si cristallizzi nel processo artistico.
Il libro è un viaggio, una metamorfosi, come dice Caterina Colonna. Da vivere una vita senza colori, come affermano l'autrice e Massimo Gherardini, a una vita libera, a colori, diventare da crisalide a farfalla che spiega le ali. La raccolta libera la farfalla, imprigionata, tramite la parola:
"Ora la penna non teme alcuna ferita
e la parola, crisalide, apre le ali.
Vola."
(Μέδουσα)
Irisz Maar © giugno 2025
Revisione e correzione: Anna Cavallini