2022. 01. 12.
La mamma è eterna
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Mammaversum. La chiamavo, la vezzeggiavo così quando è stata ricoverata in terapia intensiva a Careggi. In seguito, mi ha confessato che lì si sentiva come chiusa in una scatola angusta e che soltanto la mia voce riusciva ad infiltrarsi, un fascio di luce tremolante a cui si è aggrappata, e con cui l'aiuto è riuscita pian piano ad uscire dalla scatola, perché il barlume è diventato sempre più vasto e sempre più forte, per poi spezzare le catene. Il cancro la stava strozzando, lasciando sentieri minuscoli per l’aria.

Possiamo avere la sensazione che nostra mamma sia eterna. Supera ogni ostacolo, ogni difficoltà, ogni malattia. È insormontabile, invulnerabile. Rimane qua con noi, per noi, per sempre. Sebbene conosciamo la realtà che ci circonda, almeno una parte della realtà, quella che anche per noi è accessibile, e che ci dice che secondo le leggi della biologia, della fisica, della chimica, come le nostre polveri terrestri - il nostro sistema nervoso, il nostro cervello, i nostri organi, le nostre cellule - ci permettono di conoscerla, un giorno moriamo e muoiono anche i nostri cari, qualsiasi cosa significhi ciò. Tuttavia, con nostra mamma non potrà mai succedere. Perché è eterna. C’è sempre. Ci sarà sempre. Con il suo corpo, con la sua anima, con la sua presenza, con il suo cervello, con il suo sistema nervoso, con i suoi organi, con le sue cellule.

Mia mamma era birichina. Giocosa, nonostante abbia sofferto tanto nella vita. Magari mi ha lasciato venire via lontano da casa per questo motivo. Per ritrovarmi, per trovare chi possa essere, perché io non sia incatenata da niente e da nessuno. Per darmi la possibilità di diventare completa, forte, indipendente, serena, tranquilla. Tutti sappiamo, probabilmente, che tutto ciò non è così facile come può apparire e certamente non sono degli stati costanti nella vita. Ma forse intuiamo tutti che la qualità, la quantità e la natura delle nostre scelte sono molto influenzate dall’ambiente in cui ci troviamo, dal livello della nostra educazione, dalle nostre esperienze acquisite in questo modo e dal prossimo che ci circonda. Mia mamma cercava di regalarmi più opportunità possibili, affinché io possa tentare di fare dei passi nella vita che i nostri antenati non riuscivano a fare, nonostante - come abbiamo saputo dalle poche leggende rimaste sulla famiglia - fossero pieni di desideri e di ambizioni, ma purtroppo la loro educazione, la politica, le evenienze, i margini economici, persone di mentalità stretta li hanno trattenuti, li hanno costretti alla povertà, hanno vanificato le loro speranze, i loro obiettivi, e loro di conseguenza hanno finito per soccombere interamente o parzialmente, come se fossero intrappolati.

Io sono stata liberata, sì, ma la mamma mi aspettava sempre a casa in caso io avessi avuto bisogno di tornare al sicuro, o semplicemente perché mi mancava tanto lei. Ma anche per poter spiccare il volo di nuovo e ripartire da lì. Da bambina mia mamma mi osservava sempre per capire di cosa riesco a rendermi conto, cosa riesco ad intuire e valutare. Entro questi limiti mi era permesso di esercitare i miei diritti, anche in occasioni e questioni significative. Il suo obiettivo era rispettarmi, lasciarmi affrontare da sola tutto ciò che riguarda soltanto me e non gli altri. Situazioni e faccende in cui nessuno avrebbe il diritto di prendere decisioni al posto mio: chi conosco, dove vado, in cosa spendo i miei soldi, cosa penso, cosa provo, a che ora ceno, cosa voglio mangiare. Esempio più concreto: come gestisco il rapporto difficoltoso con mio padre.

Mi ricordo che, quando avevo dodici anni, mi sono messa davanti a lei, dicendo:

- Mamma, al giorno d'oggi è fondamentale sapere l’inglese, altrimenti non mi farò mai valere. Ho già trovato un'insegnante, il costo è “tot”. La professoressa ha detto che possiamo cominciare subito. Le ho detto di dover parlare con te per conferma.

Conosceva e riconosceva i miei diritti, le mie capacità, la mia libertà. Non si intrometteva in affari in cui la mia sicurezza fisica ed emotiva non era esposta a rischi e pericoli. Mi ha appoggiata, ha contribuito a farmi ottenere tutto ciò che volevo raggiungere, diventare, essere. Abbiamo dialogato di tutto, insieme.

Naturalmente, questo non significa che non avesse stabilito delle regole. In fondo non è che mi mancasse l’educazione, ero soltanto libera. Una volta non mi aveva permesso di andare al concerto di Edda, perché la mia amica aveva tinto i miei capelli. Erano diventati rossi. Più precisamente, erano diventati rossi con strisce marroni. Disgrazia. Comunque, proibirmi di tingere i capelli non è stato un divieto immotivato. E io lo sapevo bene. Eppure l’ho fatto. Da piccola ero allergica a una serie di sostanze che mi avevano provocato degli attacchi asmatici severi. Nella mia adolescenza, per fortuna, gli attacchi non si presentavano più, la mamma però aveva paura che a causa delle sostanze chimiche delle tinte, gli attacchi sarebbero riapparsi. Gli episodi delle mie ribellioni puerili sfiatano qua. Il fatto di esaminare tutto insieme e il poter esercitare le mie facoltà, penso che abbiano aiutato pure lei ad attraversare la mia adolescenza in pace. Relativa, certo, perché la vita, in ogni modo, doveva essere come le montagne russe anche con me, come, suppongo, con ogni adolescente. Poteva avere fiducia in me. Sin dalla mia infanzia abbiamo riflettuto insieme anche sui pericoli ipotizzabili, ovviamente toccando temi che rispondevano alla mia età attuale. In questo modo ho imparato da che cosa devo astenermi. Dico questo con umiltà, perché so che anche se stiamo attenti, gli infortuni, a volte, sono ineludibili. Grazie al destino, tingere i capelli è andato a buon fine.

Mi ha regalato libertà. Ciò non vuol dire nient’affatto che riesco ad effettuare senza posa il mio diritto di essere libera. Esistono fattori che neanche la mamma è arrivata ad abolire. Al limite ha fatto da contrappeso, con più o meno successo. Fattori che mi hanno bloccata, hanno diminuito o addirittura tolto la mia autostima, fino a che a volte mi sentivo, mi sento sprovveduta o sbagliata. Può essere che la libertà debba fermentarsi nell’uomo e, allora, la libertà matura potrà compiersi.

Mi è stata tramandata una responsabilità immensa. Devo realizzare la mia libertà. La mamma sapeva che libertà e amore respirano insieme. Seppure, certe volte, o il più delle volte, ciò faccia male. In lei il seme biblico è caduto in terra feconda.

Negli ultimi tempi, l’aria penetrava i polmoni furtivamente e pressava per uscire tramite fessure sempre più strette. Il cancro era diventato sempre più implacabile.

I varchi attraverso cui la mamma ventava verso di me, in me il suo amore, si restringevano sempre di più. Come ha detto il suo medico curante alla camera ardente, la mamma non ha mai permesso al malessere di intrudersi fra me e lei. Neanche durante l'ultimo mese e mezzo che abbiamo trascorso in ospedale. Ha dominato la sua malattia. Mi ha dato rifugio in queste fessure appena avvertibili, mi ha dato riparo lì. La mamma era potente. E io, io ho creato un guscio intorno a noi: non ho permesso a niente e a nessuno di essere più importante di lei o tentare di fracassare l’involucro, nemmeno di toccarlo. C’eravamo solo noi due. 

Gli stent e la protesi impiantati, insieme alla radioterapia, hanno rianimato il suo respiro. La mamma ha ripreso fiato. Abbiamo guardato Mulan, abbiamo chiacchierato e conversato di tutto, come sanno fare solo le mamme e le figlie grandi. Si è fatta bella. L’ho collegata alla bombola dell’ossigeno, è uscita in bagno per sistemare le sopracciglia, abbiamo lavato i capelli e poi l’ho ricollegata all’ossigeno a parete. Mi ha raccontato delle storie del suo passato che prima non mi aveva mai rivelato. Mi ha fatto tornare in mente mia nonna, perché anche lei aveva fatto la stessa cosa il giorno in cui ha avuto l’ictus cerebrale. Ma quel giorno tutto è rimasto come prima.

Quando un mese e mezzo prima di tutto ciò hanno ricoverato la mamma in terapia intensiva, dovevamo capire che l’immunoterapia non ha avuto successo, sebbene la parte, diciamo così, chimica della chemioterapia abbia ottenuto l’effetto desiderato, quindi le dimensioni del cancro sono diminuite e qualche metastasi si è eclissata, quasi pienamente. Purtroppo subito dopo che avevamo cominciato la prima seduta dell’immunoterapia, la mamma si sentiva sempre peggio e nell'arco di poco più di un mese si trovava in condizioni critiche. La chemioterapia successiva, dopo tutto ciò, aveva lo scopo di tenere a bada il cancro finché non si trovavano altre strade per poter allungare la sua vita. Ricevutala, però, i polmoni avranno preso un’infezione, oppure hanno reagito alle cellule agonizzanti del cancro con un’infiammazione spropositata. I polmoni, di cui ormai solo piccolissime porzioni appartenevano alla mamma, guaivano in cerca di aiuto.

Tornando a casa, passando in mezzo alle colline, agli alberi familiari, guardando su, alla Luna, ho provato la forte sensazione che non sarebbe potuto più esistere niente che fino ad allora era esistito, senza la mamma. Niente sarebbe stato più lo stesso. Né la Luna, né le montagne, né le strade, né gli alberi. La casa in cui vivo. Il letto in cui dormo. La gente a cui mi rivolgo. Volevo la mamma. Fino alla fine ero convinta che la mamma trionferà. In fin dei conti lei è la Mamma. La mamma sconfigge tutto. Sempre.

Il mio corpo stava pulsando. I palmi delle mie mani erano rossi, le mie vene martellavano, stavo bollendo. Ho abbracciato il corpo sempre più freddo, sempre più giallo della mamma. Forse volevo travasare il calore del mio corpo nel suo, pompare il mio sangue nelle sue vene con la pressione sanguigna, volevo unirci, far operare quelle vene con il mio battito del cuore, colorare lei con il mio rossore, seppure, ormai, non fosse possibile. Ho ricoperto il suo corpo, sempre più appesantito, di baci. Le ho detto che la amo. Sembrava che le labbra, ferme da ore, a queste parole e per questi gesti, avessero cominciato a chiudersi, anche se, ormai, erano ore che non arrivava aria verso di me. In me, nello stesso tratto, non ha smesso di far fluire il suo amore. Pian piano stava sbocciando un sorriso sulle sue labbra.

Per un pezzo, quando guardavo le vertebre sulla schiena degli Appennini, familiari, coperti e colorati dagli alberi autunnali, sentivo la mamma dentro di loro, come se avesse traslocato dentro di loro, come se gli Appennini fossero lei, lei stessa. Come se abitasse in tutto, come se esistesse dappertutto, simultanea. Allora mi ha salvato anche questo, come fanno le mamme.

La forza con cui affronto tutto ciò è il regalo della mamma. Mi ha fatto crescere libera – sono cresciuta forte. La mamma sopravvive. Come sia possibile e perché succeda, non lo so. Dimora, risiede in me: palpabilmente, udibilmente, visibilmente, sensibilmente, profondamente, nelle mie cellule, nella mia tempra. È rimasta fra di noi, in me, ma anche al di fuori di me. Sa mettere le radici in tutto ciò che conosco e in tutto ciò che non conosco ancora. Non mi abbandona. È eterna.

Ecco tutto ciò che riesco a percepire e raccontare dalla gabbia corporea del mio essere. Spero tanto che stia sfiorando un segreto che mi raggiunge da oltre il mio essere fisico. Che riesca a trasmettere tramite le mie parole qualcosa che ci faccia palpare il segreto che forse esiste e che forse un giorno saremo capaci di toccarlo anche con l’aiuto della scienza. Spero di captare un segreto. E che la mamma rimanga davvero con me in una forma per noi ancora inintelligibile. Che sia sincrona, che sia veramente felice e adesso libera. Per l’eternità.

 

 

 

2021 novembre © Irisz Maar

Revisione e correzione: Anna Cavallini 

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